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Cancellare notizie da Google, la sentenza 14488/2025 della Cassazione

Cancellare notizie da Google, la sentenza 14488/2025 della Cassazione

By Redazione

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La sentenza n. 14488 depositata il 30 maggio 2025 dalla Prima Sezione civile della Corte di Cassazione costituisce un ulteriore e rilevante sviluppo nell’elaborazione giurisprudenziale del diritto all’oblio e, più specificamente, del meccanismo della deindicizzazione dei risultati di ricerca su internet. Il provvedimento si inserisce nel progressivo consolidamento di una disciplina giurisprudenziale che ha trovato fondamento prima nelle pronunce della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, e successivamente nel diritto interno, anche per effetto dell’entrata in vigore del Regolamento UE 2016/679 (GDPR).

Il procedimento trae origine dalla richiesta avanzata da un cittadino nei confronti di Google LLC, volta a ottenere la rimozione dagli elenchi di risultati nominativi di alcuni URL che riportavano notizie relative a una vicenda giudiziaria a suo tempo oggetto di procedimento penale. La vicenda giudiziaria si era conclusa nel 2015 con l’assoluzione definitiva dell’interessato, ma le notizie indicizzate tramite il motore di ricerca non riflettevano tale esito, limitandosi a riportare le fasi iniziali dell’inchiesta e delle contestazioni penali. La domanda di deindicizzazione è stata inizialmente rigettata dal Tribunale, che ha ritenuto prevalente l’interesse pubblico informativo alla permanenza dell’indicizzazione.

La Corte di Cassazione, investita del ricorso proposto dagli avvocati Angelica Parente e Domenico Bianculli, ha invece accolto le doglianze del ricorrente, cassando la decisione di merito e rinviando per un nuovo esame.

Sul piano della struttura normativa di riferimento, la Corte muove dai principi stabiliti dall’art. 17 GDPR, che riconosce al soggetto interessato il diritto alla cancellazione dei dati personali ove sussistano specifiche condizioni, fra cui la perdita di attualità e la cessazione delle finalità per le quali il trattamento era stato originariamente giustificato.

La pronuncia, come ormai prassi consolidata, richiama espressamente l’elaborazione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea a partire dalla sentenza Google Spain (C-131/12), in cui si è affermata per la prima volta l’autonomia della posizione dei motori di ricerca quali titolari del trattamento, e la loro conseguente responsabilità in ordine alla valutazione dei diritti coinvolti in caso di richiesta di delisting.

Il merito della vicenda

Nel merito della vicenda, la Corte di Cassazione ribadisce che il bilanciamento tra il diritto all’informazione e il diritto alla protezione dei dati personali deve avvenire alla luce del principio di proporzionalità, secondo una valutazione dinamica e concreta della posizione giuridica della persona interessata. La semplice veridicità della notizia al tempo della sua pubblicazione non costituisce elemento sufficiente a giustificare indefinitamente la permanenza dell’indicizzazione nominativa.

Avvocato Bianculli: “La rilevanza pubblica della notizia deve essere attuale, non meramente storica, e deve riflettere l’effettivo quadro aggiornato degli eventi. Il decorso del tempo, l’evoluzione del procedimento giudiziario e il ruolo pubblico, o meno, del soggetto interessato rappresentano parametri centrali nell’accertamento.

Nel caso di specie, tre dei quattro articoli indicizzati riproponevano esclusivamente la fase delle indagini preliminari e delle accuse originarie, omettendo ogni riferimento all’assoluzione definitiva intervenuta nel corso degli anni. Il soggetto interessato non rivestiva funzioni pubbliche né notorietà attuale, risultando dunque prevalente il suo interesse a non essere esposto, attraverso la ricerca automatizzata per nominativo, a informazioni ormai superate e incomplete.

Particolarmente rilevante appare il chiarimento secondo cui la deindicizzazione degli URL richiesti può essere disposta anche in assenza della rimozione della notizia dai siti originari. La Corte, proseguendo lungo l’orientamento già consolidato nella giurisprudenza unionale e italiana, distingue nettamente tra conservazione dell’informazione nei database editoriali e indicizzazione algoritmica da parte dei motori di ricerca. La deindicizzazione agisce unicamente sull’accessibilità immediata dei dati personali tramite associazione nominativa, lasciando impregiudicata la libertà di informazione generale e la conservazione storica della notizia nei rispettivi archivi.

Non meno significativo è il ribadito principio per cui il gestore del motore di ricerca riveste la qualifica di titolare autonomo del trattamento ai sensi dell’art. 4 GDPR. Tale qualifica impone a Google un obbligo specifico di esame e valutazione individualizzata delle richieste ricevute. Il trattamento operato dal motore di ricerca, per sua natura, amplia esponenzialmente la visibilità di informazioni che, diversamente, avrebbero una diffusione circoscritta al pubblico che autonomamente accede agli archivi giornalistici.

È proprio tale potenziamento della visibilità globale a giustificare l’autonoma responsabilità del motore nella gestione delle richieste di deindicizzazione.

Nel corso del giudizio di legittimità, Google LLC, difesa dagli avvocati Marco Berliri, Michele Traversa, Erika De Santis e Massimiliano Masnada, ha sostenuto che la persistenza dell’indicizzazione rispondeva comunque a un interesse pubblico informativo, richiamando la rilevanza sociale delle vicende giudiziarie afferenti al fenomeno della criminalità organizzata. La Corte non ha però ritenuto tali argomentazioni sufficienti a giustificare il mantenimento dell’indicizzazione in assenza di aggiornamento e in presenza dell’assoluzione definitiva intervenuta.

L’interesse collettivo alla conoscenza delle attività giudiziarie deve infatti correlarsi non solo all’oggetto astratto della materia trattata, ma anche all’effettivo ruolo pubblico dell’individuo interessato e all’attualità dell’informazione.

La pronuncia si inserisce coerentemente nel percorso evolutivo della giurisprudenza nazionale in tema di diritto all’oblio, in particolare dopo le decisioni di legittimità già intervenute con Cass. civ. n. 7559/2020, Cass. civ. n. 15160/2021 e Cass. civ. n. 36021/2023. Emergono ormai in modo stabile i criteri guida che informano l’attuale disciplina applicativa del delisting: l’attualità e la verità dell’informazione nel suo aggiornamento completo; il tempo intercorso dai fatti; la posizione privata o pubblica dell’interessato; la concreta rilevanza collettiva della notizia in rapporto alla visibilità offerta dalla tecnologia del motore di ricerca.

Avvocati Angelica Parente e Domenico Bianculli per la tutela del diritto all’oblio

La sentenza n. 14488/2025 consolida, infine, la nozione di identità dinamica della persona, intesa come sintesi dell’evoluzione giuridica e sociale dell’individuo, la cui rappresentazione non può cristallizzarsi per sempre in dati parziali riferiti a momenti storici ormai superati. In questa prospettiva, la tutela del diritto all’oblio appare sempre più funzionale a garantire non tanto l’obliterazione della memoria collettiva, quanto piuttosto la correttezza e l’equilibrio del trattamento informativo in relazione all’attuale condizione giuridica e sociale del soggetto.

La decisione in esame rappresenta pertanto un ulteriore tassello sistematico nella progressiva definizione del diritto all’oblio quale componente dell’autodeterminazione informativa del soggetto, delineando con maggiore precisione i limiti e le condizioni che legittimano l’esercizio del potere di chiedere la deindicizzazione di informazioni reperibili attraverso i motori di ricerca. Il confronto tra le ragioni della libertà di informazione e quelle della protezione dell’identità personale continua a svilupparsi all’interno di un quadro normativo europeo sempre più strutturato, in cui il ruolo dei motori di ricerca come soggetti attivi e responsabili del trattamento assume un rilievo centrale.

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