Diritto all’oblio: la Riforma Cartabia per cancellare notizie da internet

26 Maggio 2025
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i Dati Indesiderati
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Il diritto all’oblio, così come concepito nel contesto europeo, non è altro che una manifestazione evolutiva del diritto alla protezione dei dati personali e del principio di riservatezza. Nato come esigenza di tutelare l’individuo dall’esposizione continua e sproporzionata di informazioni su fatti del passato, trova oggi applicazione concreta soprattutto nei casi in cui contenuti obsoleti o irrilevanti continuino a circolare online senza più alcuna utilità per la collettività. L’articolo 17 del Regolamento (UE) 2016/679 (GDPR) ha codificato il diritto alla cancellazione, prevedendo che l’interessato possa ottenere la rimozione dei propri dati personali se non più necessari per le finalità per cui sono stati trattati, o se è intervenuta una revoca del consenso, o ancora se il trattamento è illecito.
Nel panorama digitale, questa possibilità ha assunto un rilievo crescente perché il web, attraverso motori di ricerca come Google, conserva e indicizza ogni informazione potenzialmente senza limiti di tempo. È sufficiente digitare un nome per far emergere articoli di giornale, sentenze, archivi, post social, e altri materiali che, anche se veritieri al momento della pubblicazione, possono risultare lesivi della dignità personale se non aggiornati o contestualizzati. Ecco perché il diritto all’oblio non riguarda solo la veridicità dei dati, ma anche la loro attualità, proporzionalità e rilevanza sociale. La finalità è impedire che informazioni sorpassate condizionino indebitamente la percezione pubblica e le relazioni personali o professionali del soggetto interessato.
La particolarità di questo diritto consiste nel suo essere, al contempo, fortemente individuale ma soggetto a una valutazione oggettiva. Non è sufficiente la volontà del singolo di “sparire dal web”: la rimozione o la deindicizzazione è concessa solo se il trattamento dei dati è privo di una base giuridica adeguata, o se l’interesse pubblico all’informazione non è più attuale. Di conseguenza, il diritto all’oblio richiede un delicato bilanciamento con altri diritti fondamentali, in primis la libertà di espressione e il diritto di cronaca, soprattutto quando i contenuti riguardano soggetti pubblici o vicende penalmente rilevanti.
Deindicizzazione e cancellazione: due strumenti complementari
Nel linguaggio tecnico, si tende spesso a confondere il concetto di cancellazione con quello di deindicizzazione, ma si tratta di due meccanismi distinti, anche se convergenti nella finalità di protezione della persona. La cancellazione comporta la rimozione del contenuto dalla fonte originaria, ad esempio un articolo di giornale o una banca dati. È un intervento diretto sul sito web che ospita l’informazione e può comportare anche l’eliminazione fisica del file o la modifica del contenuto. La deindicizzazione, invece, non agisce sul contenuto ma sul suo rintracciamento: consiste nel rimuovere dai risultati dei motori di ricerca quei link che associano l’informazione al nome dell’interessato.
Questo tipo di intervento è diventato cruciale nel sistema europeo proprio grazie alla sentenza Google Spain (C-131/12) della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che ha riconosciuto ai cittadini il diritto di ottenere la rimozione dei risultati di ricerca lesivi, anche quando la notizia resta pubblicata sul sito di origine. È una soluzione intermedia che consente di tutelare la reputazione individuale senza compromettere la libertà di informazione, poiché il contenuto continua a esistere ma diventa meno accessibile al grande pubblico.
I motori di ricerca, come stabilito dalle Linee guida 5/2019 del Comitato Europeo per la Protezione dei Dati (EDPB), sono da considerarsi titolari autonomi del trattamento e, pertanto, responsabili della valutazione delle istanze. Devono tener conto dell’età della notizia, dell’impatto sulla vita dell’interessato, del ruolo pubblico della persona, nonché dell’esattezza dei contenuti. In particolare, la sentenza C-460/20 ha chiarito che la deindicizzazione deve avvenire se le informazioni sono manifestamente inesatte. È quindi fondamentale costruire una richiesta fondata, documentata, giuridicamente ineccepibile.
La riforma Cartabia e l’introduzione dell’art. 64-ter c.p.p.
Un’autentica rivoluzione nel diritto interno italiano si è avuta con l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 150/2022, che ha recepito numerosi aspetti della riforma Cartabia. Tra questi, di assoluto rilievo è l’introduzione dell’art. 64-ter nelle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, che ha codificato per la prima volta un vero e proprio diritto alla deindicizzazione dei provvedimenti giudiziari favorevoli per chi è stato sottoposto a indagini o a processo.
La norma stabilisce che la persona nei cui confronti sia stata pronunciata una sentenza di proscioglimento, di non luogo a procedere o un provvedimento di archiviazione, possa richiedere alla cancelleria del giudice l’apposizione di un’annotazione sul provvedimento che preclude l’indicizzazione o costituisce titolo esecutivo per la deindicizzazione presso i motori di ricerca. La peculiarità è che l’annotazione non è rimessa alla discrezionalità del giudice, ma è di competenza della cancelleria, e può essere richiesta entro pochi giorni dalla pubblicazione del provvedimento.
Nel dettaglio, il comma 2 prevede l’annotazione per precludere l’indicizzazione, mentre il comma 3 disciplina la deindicizzazione vera e propria, con effetti vincolanti per i motori di ricerca, in conformità con l’art. 17 GDPR. In entrambi i casi, l’interessato può così ottenere uno strumento giuridicamente spendibile per cancellare il proprio nome da Google in relazione a notizie penali ormai superate, senza dover avviare un ricorso al Garante o un’azione giudiziaria separata. È un passaggio normativo che ha reso la tutela della reputazione più rapida, accessibile, e compatibile con i principi europei.
Le criticità ancora aperte: extraterritorialità, stampa e interesse pubblico
Sebbene il quadro normativo appaia ormai definito, permangono alcune criticità applicative, soprattutto in merito all’efficacia extraterritoriale della deindicizzazione. Come ricordato dalla Corte di Giustizia UE nella causa C-507/17, i motori di ricerca sono obbligati a rimuovere i contenuti solo dalle versioni europee del motore (es. google.it, google.fr), ma non dalle versioni extraeuropee (es. google.com). Questo significa che, pur ottenendo la deindicizzazione in Europa, la stessa notizia può rimanere visibile fuori dal territorio UE, con evidenti implicazioni per soggetti che operano su scala internazionale.
A ciò si aggiunge il tema della persistenza degli archivi giornalistici, spesso riluttanti a modificare o rimuovere contenuti anche quando la vicenda si è conclusa con esito favorevole all’interessato. Il nuovo Codice deontologico dei giornalisti, in vigore dal 1° giugno, ha cercato di colmare questa lacuna, imponendo l’obbligo di aggiornare le notizie e facilitare la deindicizzazione, ma nella pratica resta forte la discrezionalità delle redazioni. Ecco perché spesso la deindicizzazione si rivela l’unica strada percorribile per arginare i danni reputazionali derivanti da una “memoria digitale selettiva”, dove ciò che resta online è solo la fase dell’accusa, e non l’assoluzione.
Il principio di bilanciamento tra diritto alla privacy e libertà di stampa impone inoltre una valutazione caso per caso. Quando l’interessato ricopre un ruolo pubblico – ad esempio è un politico, un magistrato, un imprenditore noto – l’interesse alla reperibilità dell’informazione può prevalere sul diritto all’oblio. Tuttavia, la Cassazione ha riconosciuto, anche nella sua ordinanza n. 34658/2022, che il legislatore nazionale può pretendere l’estensione della deindicizzazione a tutte le versioni del motore, anche extra-UE, se ciò è necessario a garantire un’effettiva protezione della persona che voleva cancellare notizie da Google.
Cancellare notizie da Google, un processo in continua evoluzione
Il diritto all’oblio rappresenta oggi uno degli snodi più delicati del diritto digitale. Si tratta di un diritto complesso, dinamico, in continua evoluzione, che non può essere compreso se separato dal contesto normativo europeo e dalle esigenze della società dell’informazione. La sua applicazione richiede conoscenza delle norme sovranazionali, delle prassi dei motori di ricerca, delle responsabilità dei media e, da ultimo, delle procedure introdotte dal legislatore italiano con la riforma Cartabia.
A fronte di un procedimento giudiziario concluso con esito favorevole, ogni cittadino ha oggi uno strumento concreto e gratuito per far valere il proprio diritto alla riservatezza: la richiesta di annotazione in cancelleria, che costituisce un titolo giuridico immediatamente utilizzabile per ottenere la deindicizzazione. Tuttavia, in casi più complessi, è consigliabile agire con l’assistenza di un avvocato esperto in privacy, per valutare il bilanciamento dei diritti in gioco e predisporre istanze che abbiano una reale possibilità di accoglimento.
Non si tratta semplicemente di rimuovere una traccia dal web, ma di ripristinare un equilibrio tra verità, dignità e diritto all’aggiornamento dell’informazione, nella consapevolezza che, oggi più che mai, la reputazione di una persona è strettamente connessa ai risultati di una ricerca su internet.
Cancellare notizie da Google – 5 domande frequenti che ti potrebbero interessare
1. Qual è la differenza tra cancellazione e deindicizzazione dei dati?
La cancellazione comporta l’eliminazione del contenuto dalla fonte originale (es. sito web o giornale), mentre la deindicizzazione consiste nel rimuovere il collegamento tra il nome dell’interessato e quel contenuto dai risultati dei motori di ricerca, pur lasciando intatta la pagina.
2. Cosa prevede l’art. 64-ter introdotto dalla riforma Cartabia?
L’art. 64-ter delle disposizioni di attuazione al codice di procedura penale consente all’imputato assolto o all’indagato archiviato di ottenere, tramite la cancelleria del giudice, un’annotazione che ha valore di titolo esecutivo per la deindicizzazione del provvedimento dai motori di ricerca.
3. Devo rivolgermi a un giudice per ottenere la deindicizzazione?
No. Grazie alla riforma Cartabia, è sufficiente un’istanza rivolta alla cancelleria del tribunale che ha emesso il provvedimento favorevole. Non è più necessario attivare un giudizio civile o un procedimento amministrativo.
4. Se Google rifiuta la deindicizzazione, cosa posso fare?
È possibile presentare reclamo all’Autorità Garante per la protezione dei dati personali oppure adire l’autorità giudiziaria competente ai sensi dell’art. 79 del GDPR.
5. È possibile ottenere la deindicizzazione anche per le versioni internazionali di Google?
In linea generale no, ma la Cassazione (ord. n. 34658/2022) ha riconosciuto che la legge italiana può legittimamente richiedere una deindicizzazione estesa anche alle versioni extra-UE del motore, se ciò è necessario a proteggere effettivamente la reputazione del soggetto interessato.