La conservazione per un tempo illimitato delle informazioni che si possono trovare nelle query di ricerca Google ovvero semplicemente sulle pagine web di svariati siti online consta all’interessato, se questi sono dati che riguardano la sua vita privata, e laddove risultino essere obsolete o non veritiere, la quasi non possibilità di essere dimenticato. Ancora, la conservazione di siffatte informazioni comporta generalmente un danno all’immagine ed alla reputazione online e sociale del soggetto, il quale, per fare un esempio, gravato da un procedimento giudiziario non riesce a togliersi l’epiteto che il web gli ha dato. Ebbene, il diritto all’oblio si configura proprio quale diritto di cancellare i propri dati personali, previsto in punto di diritto dall’art. 17 del GDPR, dove contenuti si fa riferimento a “qualsiasi link, copia o riproduzioni” che possano rendere pregiudizio all’interessato ledendo la reputazione online e non solo.
Quali sono gli obblighi in capo al gestore di un motore di ricerca
Secondo la decisione del 10 marzo 2016 del Garante Privacy, Autorità deputata a dirimere le controversie in materia di privacy e competente al rispetto delle norme del GDPR, il titolare del trattamento non e? tenuto a effettuare la deindicizzazione in tutte le versioni del suo motore di ricerca.
Il fatto
La vicenda che origina dal procedimento in esame si sviluppa in Francia, ove la Commissione nazionale per l’informatica e le liberta?, in acronimo CNIL, ha irrogato una sanzione pari ad euro 100.000 nei confronti di Google, poiché il colosso americano nell’accogliere una domanda di deindicizzazione, si era rifiutato, di rimuovere gli URL a tutte le estensioni del nome di dominio del suo motore di ricerca. Google ha quindi chiesto al Consiglio di Stato di Francia di annullare la decisione comminatoria della sanzione, sulla scorta che il diritto alla deindicizzazione non comporta inevitabilmente che la soppressione dei link pregiudizievoli in oggetto, senza doversi avere limitazioni geografiche, in tutti i nomi di dominio del suo motore di ricerca.
La questione posta alla Corte
Data la controversia sulla disciplina della deindicizzazione il Consiglio di Stato francese ha posto la questione alla Corte chiedendogli se le norme del diritto dell’Unione circa la protezione dei dati personali, nella specie la Direttiva 95/46/CE debbano essere interpretate nel senso che segue: laddove un gestore del motore di ricerca, nel dettaglio Google, accoglie una domanda di deindicizzazione, de questi e? tenuto ad realizzare l’effetto del “nascondimento” dei link in ogni versione del proprio motore di ricerca ovvero, ex adverso, se sia tenuto ad effettuarla solo nelle versioni corrispondenti a tutti gli Stati membri, o ancora, solo su quella corrispondente allo Stato membro di residenza di colui che beneficerà della deindicizzazione.
La risposta della Corte, mancano le norme sovranazionali sulla deindicizzazione
La Corte rileva come, per effetto della globalizzazione, l’accesso da parte degli utenti del web, ed anche di coloro che sono localizzati al di fuori dell’UE, l’indicizzazione di un link, puo? produrre effetti istantanei e sostanziali nella sfera personale della persona anche all’interno dell’Unione. A fronte di ciò, sostiene la Corte che una “deindicizzazione mondiale sarebbe idonea a conseguire pienamente l’obiettivo di protezione perseguito dal diritto dell’Unione”. Molti Stati terzi, tuttavia, non riconoscono il diritto alla deindicizzazione di talché la Corte precisa che il diritto alla privacy quale diritto fondamentale deve comunque contemperato con altri diritti fondamentali. Dalla normativa vigente in ambito europeo emerge che il legislatore sovranazionale non ha mai proceduto al bilanciamento dei diritti rispetto alla portata della deindicizzazione, né tantomeno abbia esteso la portata dei diritti dei singoli oltre il territorio degli Stati membri. Questo vuol dire che, mandano una normativa specifica in materia degli effetti ultra territoriali della deindicizzazione, Google non saprebbe obbligato alla deindicizzazione anche rispetto alle versioni del motore di ricerca che non rientrano tra le zone geografiche degli Stati Membri.
Conclusione, l’obbligo del Gestore del motore di ricerca
La Corte, a fronte del ragionamento sin qui edotto, chiarisce che “non sussiste, per il gestore di un motore di ricerca che accoglie una richiesta di deindicizzazione presentata dall’interessato, un obbligo, derivante dal diritto dell’Unione, di effettuare tale deindicizzazione su tutte le versioni del suo motore.” Il diritto dell’unione, in ogni caso, sebbene non impone la deindicizzazione su tutti i motori di ricerca, anche extra UE, neppure lo vieta. Per questo si è arrivati alla conclusione che il diritto dell’unione obbliga il gestore ad effettuare la deindicizzazione nelle versioni del suo motore di ricerca corrispondenti a tutti gli Stati membri; non solo, questi deve adottare misure che permettano in maniera definitiva di impedire, o ridurre nei paesi Extra UE, ai fruitori della rete che effettuano una ricerca sulla base dei dati personali dell’interessato di accedere, con le query di ricerca alla visione dei contenuti lesivi.