A seguito della emanazione del Regolamento (UE) nr. 679/2016 è stato introdotto il nuovo Codice della Privacy, GDPR – letteralmente General Data Protection Regulation, in materia di protezione dei dati personali che introduce degli importanti strumenti a tutela del c.d. diritto all’oblio anche conosciuto come “il diritto all’essere dimenticati” o anche alla “cancellazione dei propri dati personali”. Connesse inscindibilmente all’esercizio di tale diritto, di cui all’art. 17 del Regolamento anche detto GDPR, è proprio il diritto alla deindicizzazione dei dati personali da Google ovvero la possibilità per il soggetto interessato di far rimuovere dai risultati di ricerca i contenuti ritenuti lesivi della propria dignità personale e professionale, obsoleti o anche inesatti o del tutto falsi.
Il diritto all’oblio oltreoceano: i casi in Argentina
La vicenda che qui si rileva è quella inerente ad una denuncia di un soggetto che ha sporto nei confronti di una società di motori di ricerca ordinando la soppressione di alcuni siti web in cui sono stati divulgate notizie in relazione al passato mediatico del soggetto. L’attore in questione ha sostenuto in giudizio che le informazioni diffuse fossero pregiudizievoli pe rla propria reputazione, e che i fatti fossero ormai obsoleti, risalenti ormai a circa 20 anni prima, ancora che gli stessi fossero irrilevanti e non necessari.
La determinazione del Tribunale di Buenos Aires
Il Tribunale di primo grado di Buenos Aires a seguito della denuncia ha faziosamente ammesso la richiesta dell’attore, tanto che da disporre la rimozione delle notizie dalle pagine Web, costringendo l’imputato, il webmaster, a bloccare tutti i collegamenti dai motori di ricerca ed anche a qualsiasi immagine o video ottenuto 20 o più anni prima.
La corte di Appello Argentina
Nel prosieguo del procedimento, la Corte d’Appello ha confermato la sentenza del Tribunale di primo grado, sostenendo l’esercizio di tale diritto non indicava la cancellazione delle informazioni ma solo di limitarne o impedire l’accesso attraverso i modi tradizionali di ricerca, attuando così la c.d. deindicizzazione. La Corte di Appello ha riconosciuto dunque, sebbene non vi fosse in Argentina, a differenza dell’Europa con il GDPR una norma ad hoc che potesse dare sostegno alla pretesa attorea, che il diritto all’oblio avrebbe dovuto essere comunque compreso in modo restrittiva, seguendo in questo senso i diritti alla privacy e all’onore.
La determinazione della Corte Suprema
Il convenuto ha poi eccepito anche la sentenza di secondo grado dinanzi alla Corte Suprema, la quale si è determinata come segue. In primo luogo, la questione principale è quella di determinare se una persona, con un certo rilievo pubblico, sia stata coinvolta in una questione di un certo interesse e che dunque possa avere diritto ad eccepire il c.d. diritto all’oblio, consentendogli di richiedere la cancellazione del proprio nome da browser o dalle query dei motori di ricerca.
La Suprema Corte non ha trovato, come la Corte di Appello, una base giuridica che potesse valere come sostegno della pretesa attorea, tanto da poter giustificare il bilanciamento a favore del diritto all’oblio del singolo, contro quello del diritto alla informazione della collettività. Così, la Suprema Corte ha deciso che il contenuto in esame è tutelato dalla libertà di espressione. Ancora, ha decretato che l’attore essendo ancora un soggetto pubblico, e che per questo era stato coinvolto in una questione che fosse ancora di interesse pubblico, la notizia dovesse essere mantenuta anche oggi. Dunque, la Suprema Corte accoglie il ricorso del convenuto, dichiarando ammissibile il ricorso straordinario e revocando la sentenza impugnata e respingeva la domanda.