Cancellare notizie da internet, e sopratutto la rimozione di informazioni errate dai giornali attraverso reclami al Garante per la protezione dei dati personali rappresenta un mezzo fondamentale per coloro che desiderano difendere la propria reputazione online. In un mondo in cui l’accesso alle informazioni è rapido e pervasivo, la gestione accurata delle proprie informazioni digitali è diventata cruciale per individui e aziende. Tuttavia, questa procedura solleva questioni complesse in merito al bilanciamento tra la libertà di informazione e il diritto alla privacy. La trasparenza giornalistica e l’etica sono parte integrante della discussione, e la sfida consiste nel trovare un equilibrio che preservi entrambi questi valori fondamentali. In un panorama normativo in evoluzione, la protezione della reputazione online è destinata a guadagnare sempre più attenzione e importanza. La capacità di far valere i propri diritti attraverso reclami al Garante rappresenta un passo significativo verso un ambiente online più equo e rispettoso della dignità individuale.
La visibilità online e la necessità di gestire la reputazione
La visibilità online può avere un impatto significativo sulla vita di un individuo o di un’azienda. Con l’avvento dei motori di ricerca, la nostra presenza digitale è costantemente sotto il riflettore. Tuttavia, quando le informazioni presenti online sono dannose, false o superate, possono creare conseguenze negative e durature. Questo è particolarmente vero quando si tratta di notizie di giornale, che spesso godono di una credibilità superiore rispetto ad altre fonti. Google, come principale motore di ricerca al mondo, diventa il veicolo principale attraverso il quale le persone accedono a notizie e informazioni. Di conseguenza, quando un articolo giornalistico dannoso confronta nei risultati di ricerca, può influenzare notevolmente la percezione pubblica di un individuo o di un’azienda. Affrontare questa sfida richiede un approccio strategico, e in Italia, il Garante per la protezione dei dati personali può offrire un valido supporto attraverso il diritto all’oblio.
Il ruolo del Garante nella protezione dei dati personali
Il Garante per la protezione dei dati personali è un’autorità italiana indipendente responsabile di garantire il rispetto delle normative sulla privacy e della tutela dei dati personali. Fondata nel 1997, l’istituzione si occupa di supervisionare e regolamentare il trattamento dei dati personali da parte di enti pubblici e privati. Nel contesto della gestione delle informazioni online, il Garante svolge un ruolo cruciale nel bilanciare il diritto alla privacy con il diritto del pubblico di accedere alle informazioni. La normativa vigente prevede che i dati personali trattati online debbano essere accurati, aggiornati e pertinenti rispetto allo scopo per cui sono stati raccolti. Questo principio è fondamentale quando si tratta di notizie di giornale che possono avere un impatto significativo sulla vita delle persone coinvolte.
L’applicazione del diritto all’oblio nella difesa della reputazione e del reinserimento sociale
Nel contesto della richiesta di applicazione del diritto all’oblio, un individuo ha lamentato il pregiudizio alla propria reputazione a causa della persistente presenza online di notizie ormai datate (2012) e prive di rilevanza per la collettività. Qui il link al provvedimento completo. Lo stesso ha sottolineato che non ricopre più un ruolo pubblico e non è più dipendente della pubblica amministrazione. Nonostante sia stato condannato per i fatti contestati, sostenendo che la costante divulgazione di tali notizie ostacoli il corretto reinserimento sociale e lavorativo. Il processo ha coinvolto l’Autorità, che ha esaminato atti d’ufficio, compreso l’invito alle parti a rispondere alle richieste del ricorrente. Google ha sostenuto l’interesse pubblico alla reperibilità di informazioni rilevanti e ha respinto alcune richieste di deindicizzazione, specificando che alcune pagine web non sono attualmente protette dai motori di ricerca. Yahoo!Italia e Microsoft hanno contestato il proprio coinvolgimento nel processo, dichiarando difetti di legittimazione passiva. La valutazione complessiva tiene conto del carattere grave dei reati commessi dall’individuo durante l’esercizio di pubbliche funzioni, portando a una condanna confermata in Cassazione nel 2017. La decisione finale è che, date le circostanze, il diritto all’oblio non è applicabile nei confronti di Oath (Emea) Limited e Google riguardo agli URL in questione, come indicato nelle note del novembre 2017.
Diritto all’oblio e protezione dei dati personali: la decisione del Garante Privacy
Il ricorrente ha presentato nel ricorso ora in esame una serie di documentazioni, le quali sottolineano i seguenti punti chiave:
- Risiede al di fuori dell’Italia dal 1996 e ha rinunciato alla cittadinanza italiana nel 2012, optando per la cittadinanza maltese. Attualmente svolge la propria attività lavorativa in modo stabile tra Malta e gli Emirati Arabi.
- Nel maggio 2014, è stato oggetto di un’ordinanza di custodia cautelare e di un decreto di sequestro preventivo in relazione a un procedimento penale di rilevanza mediatica, legato a reati tributari. Successivamente, ha ottenuto l’applicazione della pena su richiesta delle parti, con una condanna inferiore a due anni di reclusione, beneficiando della sospensione condizionale della pena.
- Lamenta il pregiudizio alla sua reputazione personale e professionale derivante dalla presenza persistente online di notizie datate e non affidabili, considerando che risiede all’estero e non riveste alcun ruolo pubblico.
- Ha ottenuto la rimozione e/o deindicizzazione di oltre quaranta URL tramite interpello preventivo a editori di varie testate giornalistiche coinvolte. Per i restanti URL, è stata avanzata la richiesta di rimozione su Google.
Google, difesa dagli avvocati Marco Berliri e Massimiliano Masnada, ha respinto le richieste del ricorrente, sostenendo il difetto di giurisdizione del Garante e la mancanza di presupposti per il diritto all’oblio. Google afferma che la legge maltese dovrebbe essere applicata e che l’art. 28 della Direttiva europea 95/46/CE limita l’azione del Garante italiano.
Google rileva inoltre che le notizie in questione risalgono al periodo 2014-2017 e riguardano il coinvolgimento del ricorrente in un procedimento penale di grande rilevanza. Inoltre, sottolinea che il ricorrente ricopriva un ruolo pubblico all’epoca e attualmente si definisce imprenditore.
Il Garante, in conclusione, dichiara l’inammissibilità del ricorso nei confronti di Microsoft Corporation e Microsoft Srl, e dichiara non luogo a provvedere nei confronti di Oath (Emea) Limited e Google per gli URL specificati nelle note richiamate. Infine, dichiara il ricorso informato per le restanti richieste nei confronti di Oath (Emea) Limited e Google.
Rimozione parziale di URL legati ad un giornalista in base al diritto all’oblio
Il caso in esame prende avvio il 13 novembre 2017, quando il ricorrente ha presentato un ricorso al Garante nei confronti di Google LLC e Google Italy Srl, chiedendo la cancellazione di cinque URL associati al suo nome e cognome e collegati ad articoli che riguardano. Nel ricorso, la richiedente, una giornalista di professione, ha ribadito le istanze già avanzate in base al Codice in materia di protezione dei dati personali.
Il ricorso prevedeva la richiesta di cancellazione di cinque URL specifici indicati dal punto 1 al punto 5 nell’atto introduttivo del procedimento. In via preliminare, si contestava l’inammissibilità delle richieste relative agli URL indicati nei punti 3 e 4, poiché non erano stati oggetto di interpello preventivo. Per quanto riguarda l’URL al punto 5, è stato comunicato che non comparava nei risultati di ricerca.
Per gli URL indicati ai punti 1 e 2, Google ha sostenuto di non poter aderire alle richieste, invocando un presunto interesse pubblico alla reperibilità di informazioni di cronaca legato al ruolo professionale della giornalista. Inoltre, è stato argomentato che non sussistevano i presupposti per l’applicazione del diritto all’oblio, sia a causa del breve periodo trascorso dalla pubblicazione degli articoli nel 2009, sia per la rilevanza delle informazioni in essi contenuti rispetto al ruolo pubblico dell’interessata. Il Garante ha rilevato preliminarmente l’inammissibilità delle richieste relative agli URL al punto 3 e 4, non oggetto di interpello preventivo, e ha dichiarato inammissibile la richiesta di deindicizzazione dell’URL al punto 5, poiché il richiedente aveva già ricevuto riscontro da Google in merito.
Per gli URL ai punti 1 e 2, il Garante ha ritenuto meritevole di prendere in considerazione la richiesta di rimozione. Gli articoli collegati a questi URL, pubblicati nel 2009, riportano fatti risalenti al 1983 e contengono commenti lesivi dei diritti della ricorrente. La permanenza di tali articoli online, in associazione al nome e cognome della giornalista, potrebbe causare un pregiudizio non bilanciato da un interesse pubblico alla conoscibilità della vicenda, considerando il lasso di tempo trascorso dagli eventi. Di conseguenza, il Garante ha deciso di accogliere in parte il ricorso e ha ordinato a Google di rimuovere gli URL indicati ai punti 1 e 2 entro trenta giorni dalla ricezione della decisione.